The art of travel, la mia recensione.
Da buon viaggatore, sia per lavoro che per piacere, ho sempre guardato con discrete interesse ai libri che trattano di viaggio, inteso non come guide per un luogo, ma come “bibbie” per l’esperienza del viaggio stesso.
Per questo motivo, appena mi è capitato sott’occhio questo titolo non ho dubitato neanche un secondo sull’opportunità di acquistarlo; (anche perché avendo un Kindle, i costi dei libri sono ormai minimi).
Ma qual è l’argomento principale di The Art of Travel? (lo trovi qui…)
Questo libro è un saggio sulla gioia di partire, sulle motivazioni che ci portano a farlo e sulle indicazioni su come evitare di cadere nelle “trappole turistiche” più comuni.
“Il piacere che deriviamo dai viaggi, dipende più dallo stato mentale con cui ci apprestiamo a viaggiare che dalla destinazione verso cui siamo diretti”. Alain de Botton.
Ma, innanzitutto, chi è l’autore di questo libro?
Alain De Botton è un filosofo e scrittore britannico di origine svizzere.
Scrittore affermato, è autore di più di 20 libri e proprietario e primo protagonista di un canale molto popolare di Youtube, denominato The School of Life .
La cover di the art of travel
E di cosa si parla di preciso in questo libro?
Come già riportato nell’incipit iniziale, l’autore, in questa opera prova ad ipotizzare il perché al giorno d’oggi il viaggio, la vacanza si presenti come un periodo desiderabile e sognato, per poi rivelarsi spesso deludente o sopravvalutato.
Le ipotesi ed i riscontri elaborati dallo scrittore hanno portato così ad alcuni temi dominanti nel libro:
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Viaggiare non è una fuga perché alla fine del viaggio sarai ancora te stesso.
Spesso il viaggio è deludente perché lo consideriamo come un momento di cambiamento; pensiamo che pochi giorni dall’altra parte del mondo ci possano trasformare in maniera importante e definitiva.
Solo pochissimi viaggi e mete ti cambiano, tutti gli altri ti lasceranno così come sei, con l’autoconvinzione di essere cambiato, ma la consapevolezza che non è così, soprattutto perché spesso il viaggio è qualcosa di confezionato, sognato ed imposto ed alla fine non qualcosa che ti cambia dall’interno.
“Il viaggio è un mezzo, non una fine. È una cattiva forma di evasione, perché alla fine del giorno sarai ancora te stesso”.
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Imparare nozioni e fatti mentre si viaggia è una perdita di tempo, un metodo antico, ma non più funzionale.
Spesso un viaggio, ad esclusione di una vacanza in Riviera Adriatica ;-), è anche fonte di fatica.
L’organizzazione del viaggio, la scelta di quali mete vedere (non si può fisicamente vedere tutto), la corsa da un posto all’altro per mantenere una tabella di marcia, il terrore di essersi perso qualcosa e “l’esigenza” di immortalare tutto, al fine di poterlo poi postare, condividere ed instagrammare, per poter finalmente avere un po’ di likes, nuovi followers e commenti.
Ci stupiamo degli asiatici in vacanza in Italia, ma spesso ci comportiamo come loro; passiamo il nostro tempo del viaggio a correre da un posto all’altro, arrivando molto velocemente a saturazione, per poi a volte addirittura arrivare a non poterne più del viaggio stesso, auspicando il momento del ritorno a casa ed al classico tran-tran.
Al giorno d’oggi, viaggiare è un lusso, possiamo permetterci di farlo nel nostro tempo libero. Inoltre, la maggior parte dei fatti del mondo sono stati registrati e sono disponibili con un clic di un pulsante.
Ciò significa che dobbiamo trovare nuovi modi di esplorare, di aggiungere significato al viaggio.
De Botton suggerisce di porre altre domande filosofiche e di partire senza aspettative e piani prefissati, lasciandosi sorprendere da qualunque cosa si trovi.
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Lascia stare cartoline, fotografie e filmati.
La diffusione di smartphone, tablet e relativi social network ci ha portato negli ultimi anni a diventare tutti fotografi.
Ogni viaggio è corredato da centinaia di foto, che spesso non vengono mai riguardate, ma solo faticosamente archiviate quando la memoria della nostra appendice digitale è già piena.
Attenzione, mio pensiero personale, nessuno parla di non fare alcuna foto, ma di concentrarci solo su quelle speciali, in cui sono raffigurate le persone ed i momenti a cui teniamo.
Poco utile invece dedicarsi alla singola fotografia di un monumento, naturale o costruito dall’uomo, quando lo stesso è già stato digitalizzato, da ogni angolazione da fotografi professionisti.
L’alternativa proposta da De Botton?
Il disegno, lo schizzo.
Premesso che io sono uno di quelli che disegna ancora le persone “a lisca”, condivido pienamente il pensiero di De Botton e mi è capitato varie volte di fermarmi a guardare con ammirazione ed un po’ di invidia, color che si fermano in un determinato punto, per tirare fuori un pezzetto di carta, un block-notes o qualsiasi altra cosa si trovino tra le mani per disegnare un dettaglio, un panorama o una situazione particolare che li ha colpiti profondamente.
Ecco perché De Botton suggerisce di applicare ciò che un famoso critico d’arte del XIX secolo, di nome John Ruskin praticò e predicò: il disegno.
Se disegni una scena, hai molto più tempo per elaborarla, sia con i tuoi sensi che con la tua mente.
Crei una memoria molto più vivida e rende più facile apprezzare dove sei.
Quanto più tempo ti ritagli per elaborare le tue esperienze di viaggio, tanto più le ricorderai con affetto.
Non si tratta dell’immagine o della reazione che si ottiene a risultato avvenuto, ma dello stato mentale in cui questa operazione ti pone.
Come disse John Ruskin:
“La più alta ricompensa per il lavoro di una persona non è ciò che ottengono per questo, ma ciò che diventano da esso.”
The art of travel mi è molto piaciuto perché vede da un angolatura diversa un tema molto importante come quello del viaggio.
La prospettiva da cui lo scrittore vede il tema è sicuramente fresca ed originale, anche se forse un po’ controversa.
Ho apprezzato “The art of Travel”, questo libro, mi ha fatto riflettere ( e venir voglia di imparare a disegnare).